Perché cinquantamila persone hanno riempito uno stadio dove non si giocava? E perché in cinquantamila riempiranno ancora lo stadio dove si giocherà una partita che nulla vale ai fini della classifica? Perché cinquantamila persone hanno accettato di percorrere a piedi anche dieci km pur di entrare al Maradona pronti domani a ripetere il percorso? Perché da giorni, imbambolati nell’attesa, si cercano sul cellulare gol, azioni, fuochi, raduni, canti con quella lacrima che s’insinua senza vergogna in una miscellanea di ricordi o rimpianti o gioie condivise magari con chi non c’è più?
Perché? Per stare insieme. Per gioire insieme. Per ricordare insieme. Per piangere insieme: è l’essenza che sfugge ai tanti che si stupiscono di una festa spontanea che nasce dalla fantasia individuale per confluire in quella di tutti, ciascuno sicuro di essere capito fino in fondo senza badare all’età o al sesso, in un’appartenenza che Totò avrebbe tradotto in “livella”.
La festa del Maradona
Domenica scorsa, dopo il deludente pareggio con la Salernitana, si diede vita alle prove generali con raduni e canti in ogni quartiere di Napoli. Giovedì sera tutti erano pronti a esplodere o ad aspettare ancora. Fantasia a gogò, in un’attesa che pesava nel silenzio di ciascuno, mascherato dall’indifferenza di un piccolo inciampo. E a Udine è finalmente arrivato il gol liberatorio lasciando libera la fantasia in un entusiasmo gioioso che poteva essere letto negli occhi di tutti.
Domenica, al San Diego sarà di scena Napoli-Fiorentina perché la festa continui senza ansia o attese. Una festa per dire grazie a questa squadra che ha obbedito al “tu non devi mollare” con cinque giornate di anticipo scucendo il tricolore dalle maglie rossonere staccate con 22 punti di distanza. Uno scudetto vinto da molto tempo sempre tenendo a distanza le inseguitrici perché, spalla a spalla, sarebbe stato un rischio troppo grande. E per non ripetere un 2018……