Da sempre siamo abituati a sentir chiamare un allenatore di calcio con il nome di “mister”, questo appellativo venne usato per la prima volta in Italia nel 1912, quando l’ex calciatore e allenatore inglese William Garbutt debuttò sulla panchina del Genoa. Il tecnico nacque il 9 gennaio 1883 nella cittadina di Hazel Grove nel nord dell’Inghilterra, si arruolò in giovane età ed iniziò a giocare a calcio nella squadra degli Artiglieri dell’esercito. Militò nelle squadre inglesi del: Reading, Woolwich, Blackburn e chiuse la sua carriera professionistica nell’Arsenal nel 1912. Arrivato in Italia nello stesso anno per lavorare al Porto di Genova, dopo una carriera costellata da gravi infortuni in Inghilterra, divenne il primo “mister” della storia del calcio italiano, visto che prese alla guida la squadra del Genoa. Negli spogliatoi i suoi giocatori iniziarono a chiamarlo “mister”, come solitamente si usava sui campi di calcio d’oltremanica. Mr. Garbutt viene ricordato oltre che per essere stato il primo allenatore ad essere chiamato con questo appellativo, soprattutto perché rivoluzionò il concetto di gioco del calcio, in un tempo in cui il “pallone” era considerato ancora uno sport dilettantistico. Dopo quindici anni alla guida del Genoa, portato tre volte al titolo nazionale, Garbutt si spostò gradualmente verso sud: prima a Roma, per due anni, e poi a Napoli.
Leggi anche: Spezia-Napoli, le parole di Condò: “I tre gol sono frutto di una pressione continua”
William Garbutt, i sei anni a Napoli: con Ascarelli intesa totale
Portato all’ombra del Vesuvio nel 1929 da Giorgio Ascarelli, leggendaria figura di imprenditore napoletano principale promotore del cambio di denominazione sociale del Napoli Calcio, da Internaples F.B.C. ad A.C. Napoli, Garbutt parteciperà così al primo campionato di Serie A a girone unico nella storia del club azzurro. L’inglese a Napoli rivoluzionerà la concezione del calcio, cambiando i metodi di allenamento e facendo esercitare i giocatori nel dribbling, a colpire la palla di testa ad altezze sempre maggiori e obbligando chi usava solo un piede a usare anche l’altro, costringendolo addirittura a indossare una sola scarpa durante gli allenamenti. Sul piano organizzativo e progettuale, l’intesa con Ascarelli fu totale: il presidente azzurro gli metterà a disposizione calciatori come Giuseppe Cavanna, Antonio Vojak e Marcello Mihalich. Il meglio che ci potesse essere all’epoca sul mercato. E i risultati, per il neonato Napoli, non tarderanno ad arrivare. Così, nel suo primo anno seduto sulla panchina della società partenopea, Garbutt condurrà la squadra alla conquista di un ottimo quinto posto in classifica. Nell’anno successivo, la squadra di Garbutt concluse al sesto posto. Nella sua terza stagione in azzurro, il Napoli si piazzò a centro classifica. Poi, nel 1932-33, ecco il grande exploit, con il terzo posto raggiunto alle spalle di Juventus e Ambrosiana Inter. Mentre vivevano a Napoli, Garbutt e sua moglie adottarono una giovane ragazza orfana di nome Concettina Ciletti, una scelta che lo rese ancora più amato dai napoletani. Lasciò Napoli nel 1935. Di questo periodo rimane storica una sua frase all’interno dello spogliatoio del Napoli, arrivata a noi tramite la testimonianza del calciatore Athos Zontini. Garbutt, appena nominato allenatore della squadra, disse: “Se tra voi c’è qualche fuoriclasse lo sopporterò, altrimenti per fare una grande squadra mi accontenterò soltanto dei grandi giocatori. Cioè di quei giocatori che hanno il coraggio grande, il cuore grande. Chi non ha queste virtù non è un grande giocatore, e neanche un mediocre giocatore. È soltanto nulla, quindi può vestirsi ed andarsene subito”. Una dichiarazione che racconta perfettamente il “credo calcistico” ed il carattere del mister inglese.